Alcune considerazioni sull’articolo di Andrea Pocosgnich che potete leggere su questo link: <http://goo.gl/e16h7N

Sorvolo sulla professionalità dei giornalisti che si occupano di teatro, di solito e direttamente proporzionale agli inviti a cena che ricevono da coloro su cui scrivono.
Più interessanti le considerazioni che seguono sul Valle e la politica culturale.
Ho firmato l’appello del Giornale off, malgrado la mia lontananza dalle loro posizioni politiche e culturali. La mia posizione è nota e disquisire sul danno erariale mi sembra stupido oltre che inutile.
Sono d’accordo sulla visione della deriva morale, etica e politica della sinistra italiana che avrebbe dovuto prevenire l’occupazione del Valle avendone avuto la forza. Come addetto ai lavori mi sento effettivamente arrabbiato, ingenuo, non pericolosamente ipocrita(!), tartassato e sicuramente sfinito; tutto questo è vero ma non mi acceca al punto di far coincidere lo sgombero del Valle con la risoluzione dei mali cittadini e no (la situazione romana non è molto diversa dalla situazione agonizzante della cultura italiana, della scuola, dell’arte, dello spettacolo dal vivo, del cinema, dei musei, dei beni culturali…)
Chiamare a raccolta una categoria di artisti per fare fronte unico su un tema (“zona del contemporaneo”, mamma mia!), sburocratizzare, liberare l’arte e il teatro da una politica stupida, invadente e ignorante (chiedo scusa per la citazione Sgarbiana) non è pratica avulsa dalla “liberazione” del Valle. Se tutto ciò avvenisse non ci sarebbe bisogno di sgomberare il Valle perché ognuno avrebbe il suo spazio con la possibilità di lavorarci, studiare, approfondire, maturare.
Perché mettere insieme l’Angelo Mai con il Valle? Il Valle non è uno spazio occupato, è un teatro del settecento e io lo vorrei gestito in altro modo.
Allo stesso tempo rispetto la voglia e la volontà di chi vuole uno spazio dove poter esprimere la propria cultura, i propri progetti culturali. Ripeto: culturali, non politici o ideologici. Non sono d’accordo sulla definizione di politica quale forma d’arte urgente e necessaria. La politica governa ed esprime delle regole. L’arte può al limite aprire gli spazi della conoscenza ma non genera regole. La politica genera regole. Se il Valle è diventato una fucina di pensiero politico, un laboratorio politico, non è più un boccone amaro per la destra o la sinistra: è un boccone amarissimo per me e per chi vuole che la politica si faccia altrove, magari nel parlamento o nelle piazze, magari in trincea. A teatro no, a teatro voglio conoscere il mondo, senza regole. Se la politica sale sulla scena deve risvegliare la mia coscienza, non incatenarla alle regole e alle idee. Le riflessioni politiche si possono fare ovunque ma se c’è bisogno di un simbolo come il Valle per produrle temo che rimarranno riflessioni sterili.
In tre anni non mi è capitato di conoscere nessuno, addetti ai lavori a parte, che mi abbia detto o riportato: “l’esperienza del Valle ha contribuito a portare in luce nella mia coscienza l’esigenza di lottare e di stare a fianco di chi non riesce ad accedere ai diritti fondamentali in uno stato europeo del 21° secolo, il diritto alla casa, all’istruzione, alle cure, alla possibilità di esprimersi con l’arte”.
Mi piacerebbe che gli occupanti del Valle non si aggrappassero al simbolo del teatro Valle per fare politica ma formulassero un vero e proprio manifesto di riappropriazione della possibilità di occuparsi della cultura da parte del popolo italiano. Il bando per l’estate romana che si sposa bene con il firmaturo decreto cultura per lo spettacolo dal vivo è un esempio chiaro e lampante di come la politica abbia abdicato al ruolo di fare delle regole chiare, certe e comprensibili per diventare gestore delle regole interpretabili e incerte.
Regole fatte da burocrati che assomigliano ai buttafuori delle discoteche alla moda, qualche regola la seguono ma fondamentalmente fanno entrare chi gli pare. Intimare alla politica di fare le regole è lotta politica. Dove si fa? Chi la fa?
Non credo di essere o apparire troppo negativo se dico che il cinema, il teatro, il teatro di strada, la pittura, la musica, ecc… sono per la politica italiana semplici appendici utili solo a qualche piccolo tornaconto!! Diventa ministro della cultura (uno peggio dell’altro da decenni) quello a cui si deve dare un contentino, generalmente a qualcuno che ambiva a ben altro! Il direttore generale dello spettacolo dal vivo si permette di dire e fare ciò che gli piace da più di un decennio senza che la politica abbia nulla da ribattere, destra o sinistra, un direttore per tutte e stagioni! Un direttore che anni fa millantava il riassesto del “Maggio Fiorentino” e del San Carlo di Napoli: sappiamo tutti come è finita. Un direttore che non è riuscito a produrre una seria legge per lo spettacolo e che ora ci impone un decreto demenziale.
E’ perfettamente inutile che dibattiamo tra di noi di teatro contemporaneo, di ricerca, classico, moderno o antico: se allo stato, cioè alla testa, non frega nulla del teatro e dell’arte in generale, a noi che siamo il corpo non rimane altro che far arrivare qualche motivo di dolore.
Lo spettacolo dal vivo, pubblico e privato, è allo stremo, veniamo tutti trattati
come straccioni e noi ci ballocchiamo con le riflessioni politiche, dimenticando che anche Michelangelo, noto artista, mangiava facendo tale mestiere!
Fare l’attore è un mestiere così come il musicista, il tecnico, il pittore, lo scultore, lo scrittore, il regista, il comico, il datore luci, il ballerino… Un mestiere da artigiano che a volte sublima e diventa arte. L’arte è un patrimonio che la politica dovrebbe coltivare come il contadino fa con il suo campo. L’arte è un patrimonio che tutti i cittadini dovrebbero difendere.
Lottare per la Casa, l’Istruzione e la Salute è un diritto e un dovere di tutti i cittadini ma il campo di battaglia non è il palcoscenico del Valle.
Robert Schiavoni

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